Dove sono i cari estinti
- The Blue Book Lover
- 23 apr 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Ho appena finito di leggere un articolo sul trapasso di una persona amata. L'autrice descrive le varie fasi dell'elaborazione del lutto per concludere che “quando una persona amata vola via, smette di vivere fra noi per vivere in noi”.
Quello che lei descrive, “la sensazione di vuoto, le forze esaurite e il dolore che l'assenza fisica porta”, è sicuramente una esperienza che abbiamo vissuto in molti. A me è successo in maniera particolare e traumatica quando ho perduto mio padre, che purtroppo venne a mancare all'improvviso. A quel tempo ero molto giovane e mi consideravo atea.
Non direi però che mi sia ancora successo dopo la perdita di mia madre: di lei fatico a rendermi conto dell'assenza, anche sapendo che è trapassata. Continuo a sentirla presente come i primi giorni, quando più che sentirla in me, vivevo una sorta di identificazione con lei. Con il passare del tempo, la sento più distante, ma sempre presente, cioè vivente. La differenza fra ora, che lei è”volata in cielo”, per usare l'espressione più comune, e prima del suo trapasso, è che non posso raggiungerla, come facevo quando andavo a trovarla. Anzi: perderla mi ha lasciato la speranza di poterla riabbracciare, assieme a papà, ai miei nonni, a tutti i miei antenati, in un tempo non troppo distante...
Certo, anche papà lo sentivo presente, intorno a me, nei luoghi in cui mi trovavo, in quelli dove ero stata con lui...mi capitava addirittura di credere di vederlo; e così mi disperavo nel pensiero che invece non c'era più. Ora non sono più giovane e mi domando se devo alla maturità e al fatto che mia madre era anziana e sofferente, oppure alla fede, che pur nel dolore, non mi sento angosciata né disperata. La morte, non mi provoca preoccupazione né turbamento, anzi, da quando lei se ne è andata, sento il mio momento più vicino, come quando si aspetta con emozione un giorno di festa. Tuttavia, ora come allora, quando ho perso papà, non accetto il comune concetto di "morte" e di certo non l'idea che ne hanno le chiese cristiane, di qualunque confessione, specie quella cattolica: il pensiero di un Dio che commercia in anime facendole uscire dal purgatorio in cambio di intercessioni a pagamento, mi faceva inorridire quando ero adolescente e ancor più mi raccapriccia, ora che sono adulta. Dentro di me sento una forte opposizione a tali assurde menzogne studiate per tenere la gente assoggettata e istupidita.
Quello dell'autrice di cui facevo cenno, è un bell'articolo scritto in maniera scorrevole; è un'esperienza soggettiva, narrata con l'intenzione di confortare. Ma quando conclude che “i nostri cari defunti vivono attraverso di noi...ogni volta che ne omaggiamo la memoria attraverso i ricordi... non sono sicuramente più tra noi ma sono in noi”, lei sta dicendo che essi hanno bisogno di noi come veicolo per protrarre la loro esistenza. Non sono assolutamente d'accordo su questo punto, e lo dico per inciso, e anzi, mi sa un poco di falsità canonica, di conforto molesto.
Secondo me, affermare che “vivono attraverso di noi”, è come dire che la dipartita sia esattamente sonno eterno, una pena capitale, distruzione e scomparsa definitiva e che sono vivificati (ma non resi viventi) solo perché noi li ricordiamo. In buona sostanza, questo ricordarli, equivale al non volerli lasciare andare, ma soprattutto, equivale a sentenziare che in realtà in eterno di per se stessi non sono più, e vivono in virtù dei nostri ricordi. Se l'averne memoria avesse una così determinante valenza, che ne sarebbe degli sconosciuti, degli abbandonati, dei diseredati, di quelli che hanno vissuto soli e sono morti senza che nessuno ne avesse cura o memoria? Che i nostri cari estinti "vivono attraverso noi", è un'affermazione molto grave, assolutamente contestabile e, oltretutto, io non credo nella morte: credo nella vita, e credo che la vita è eterna! Secondo me, il decadimento fisico e il trapasso da questo mondo, fanno parte del ciclo naturale di rinascita da vita a vita, attraverso la dipartita, che non è per niente affatto morte psichica: in questo, il mio pensiero è vicino a quello degli antichi romani e greci che credevano nella reincarnazione.
Io sono convinta che la psiche umana sopravvive e che i trapassati rimangono fra noi spiritualmente come angeli e si reincarnano nella propria discendenza, non necessariamente in linea retta; cosicché vi sono generazioni di spiriti e di angeli come vi sono generazioni di umani. Cioè noi rinasciamo simili a noi stessi, mutando corpo fisico, come quando ci si muta di abito, dopo essersi lavati e riassettati. Per romani e greci, ciò avveniva dopo che ci si era abbeverati al fiume Lete: se si beveva poco, si aveva facoltà di ricordare e di far tesoro delle esperienze della vita precedente per raggiungere un livello superiore di saggezza; se troppo, si otteneva l'oblio e la precedente vita veniva del tutto dimenticata. Nel frattempo, i trapassati dimorano nel regno delle ombre, in una condizione che è continuazione dell'esistenza terrena. Dove sia questo luogo è facile intuirlo dal fatto che essi ritenevano potesse essere accessibile da un qualche posto sulla terra...
Io sono convinta che i trapassati sono viventi e presenti in mezzo a noi, in una dimensione diversa dalla nostra, separati come attraverso un velo, costituito dalla nostra fisicità che fa da separazione fra noi e loro.
Io credo che essi dimorano nella piena luce, per noi inaccessibile finché siamo costretti nel nostro corpo fisico, e nel pieno intendimento di tutte le cose.
So che il dolore per la perdita di mia madre mi accompagnerà per tutta la vita, come già quello per mio padre, man mano che il tempo mi dimostrerà la loro assenza fisica. Può darsi che il distacco, il senso dell'abbandono, si farà sentire più forte con gli anni. Ipotizzo che sarà proprio il desiderio di rivederli e di riabbracciarli, che mi renderà meno difficile il mio trapasso. E' come se essi mi stiano già aspettando.
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